Quando mi sentivo persa, ingabbiata in una vita che non mi rappresentava, sentivo la necessità di scoprire chi io fossi.
Non trovando una “soluzione” al mio dilemma apparentemente irrisolvibile, ho lasciato che il tempo passasse e che la mia gabbia diventasse sempre più soffocante (come ti ho raccontato in questo articolo).
Ero ossessionata da una domanda a cui non ero in grado di dare risposta: “Cosa voglio fare della mia vita?”
Più riflettevo su questo quesito, più mi sentivo irretita da una fitta tela di “e se…“, “forse…“, “magari potrei…“.
Un primo piccolo squarcio di questa ragnatela di “pensieri sospesi” si materializzò quando mia madre, dinnanzi al mio tormento, ebbe la magnifica intuizione di rimandarmi un mio atteggiamento ricorrente nei primi anni di vita.
A suo dire, in modo del tutto immotivato delle volte mi abbandonavo a un pianto inconsolabile supplicando chi mi circondava ad aiutarmi a cercare il mio “Cadù”.
Peccato che nessuno fosse in grado di darmi sollievo e supporto, in quanto non sono mai stata in grado di descrivere cosa fosse questo Cadù. Dunque, rassegnata, generalmente queste mie esternazioni si concludevano tra singhiozzi e lunghe dormite.
Nel tempo questi episodi si fecero sempre più rari, fino a scomparire del tutto.
Diversi anni dopo, quando iniziai le elementari, mio padre mi regalò un peluche a forma di alce. Con grande stupore dei miei genitori, decisi di chiamarlo proprio Cadù.
Ancora oggi quel pupazzino ormai sbiadito svetta allegro sul cruscotto dell’auto dei miei genitori.
Quando mia madre mi rimandò questi fatti, capii che la risposta al mio quesito dimorava dentro di me da sempre e che non avrei dovuto fare altro che lasciare che si manifestasse.
Scelsi allora di affidarmi a un’ipnoterapeuta.
Ricordo perfettamente che, durante una seduta di ipnosi, mi vidi seduta a cavalcioni su di una cornice in legno sospesa nell’aria che affacciava su di un sentiero di campagna costeggiato da cipressi. In quel momento mi fu tutto chiaro: non dovevo scoprire chi io fossi, ma semplicemente ricordarlo.
Viviamo per ricordare
James Hillman, padre della psicologia archetipica, lo ha detto chiaro e tondo: “Le querce portano le ghiande, ma le ghiande sono gravide di querce.”
Dentro ciascuno di noi, quindi, è insito il destino che siamo chiamati a mettere in atto durante la nostra esistenza.
Nel Mito di Er, Platone sostiene che, ancor prima di nascere, ciascuno di noi scelga un’immagine di ciò che andrà a realizzare nel corso della propria vita.
Entrando nell’utero materno, però, dimentichiamo questa scelta e sarà dunque con l’ausilio del daimon (ossia una sorta di “spirito guida”) che, mano a mano, ricominceremo a ricordare.
Il daimon, però, non ci supporta attraverso una comunicazione verbale o mentale.
Quello del daimon è un linguaggio che parla attraverso le emozioni, gli eventi e l’immaginazione.
In altre parole, per comunicare con il daimon è necessario lasciarsi andare e fidarci del fatto che stiamo già andando esattamente laddove siamo destinati ad arrivare.
Un gioco da ragazze, non è vero? (Ovviamente sono ironica!)
Ciò per cui vale la pena vivere
“Ciò per cui vale la pena vivere” – questo è il significato del termine giapponese Ikigai.
Conosco bene quel senso di torpore, di angoscia e, perché no, di tristezza che pervade corpo, mente e spirito quando ci rendiamo conto di non sapere cosa ci piace o cosa ci appassiona. Insomma: quando ci frustriamo all’idea di non comprendere qual è il nostro scopo di vita.
La mia esperienza come essere umano e come professionista che accompagna le donne a riscoprire la propria essenza mi ha insegnato che la nostra missione di vita va ben al di là dell’appagamento del nostro stesso ego.
La nostra missione di vita si sprigiona quando contribuiamo a nutrire l’Anima del mondo, ossia quando ci facciamo canali di quel qualcosa che, anche nella sua più struggente semplicità, va a beneficio non di “me” o di “te”, ma di “tutto”.
Ti lascio allora con alcune domande di riflessione per riconnetterti al tuo Ikigai e permettere al tuo daimon di supportarti in questa tua ricerca:
- Come desidero sentirmi?
- Se potessi creare un nuovo mondo, come sarebbe?
- Se tutto fosse possibile, come vorrei essere?
Ricorda: ogni giorno è un buon giorno per ascoltare la voce della tua Anima.
E, se senti il bisogno di essere guidata nella riscoperta dei tuo potenziale nascosto, ti consiglio di dare un’occhiata al mio percorso di coaching Anima.
[Pic by Milan Popovic on Unsplash]
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